BREVI ESTRATTI DA SAGGI E RECENSIONI
Musiche pianistiche di un compositore speciale. Morto a soli 48 anni nel 1997, Mencherini è stato un vero battitore libero. Qui è documentata, attraverso l'interpretazione dell'ottimo Fausto Bongelli, la fase ultima della sua produzione, durante la quale ha ripreso con linguaggio personalissimo i modi di una tradizione novecentesca che, per comodità, si può far risalire a Bartók. L'eccezione in questa raccolta è Rite in progress del 1988: vi si trovano gli accenti più «radicali » di Mencherini, sempre contrassegnati dal piacere degli ostinati, degli itinerari molto ritmicamente scanditi, dei toni «barbarici». Aspetti che si ritrovano in termini assai più scorrevoli nelle Sei danze armoniche del 1996 (la prima fa pensare a Turkish Mambo di Tristano), mentre un romanticismo da notturno di originalità semplicemente unica e di assoluta innovatività caratterizza La huella del 1997. Altri lavori contenuti nel cd sono Abuse of Power Comes as no Surprise (1997) e Canzone periferica (1996).
(tratto da MARIO GAMBA Bongelli plays Mencherini, in "Alias" (recensione)20 agosto 2011)
 
“[...] Io non so se fu il Dio della musica ad assisterti nella stesura di quella che un giorno hai definito "Intransitabile Utopia", ma tanto era splendente quella partitura (Sei Danze per violino), nel colore del suono, nelle nuances, nel fraseggio dal vigore e dalla fantasia paganiniana, da far pensare che fosse uno dei pochi importanti lavori per violino dal dopoguerra ai giorni d’oggi.
(tratto da PAOLO ALBERTINI, A Fernando: lettera ad un amico, in “Il Torrione”, n. 2, dicembre 1997)

 

“[...] Qui Rite in progress è un incantevole scherzo con Stravinskij, Notturno, per il contrabbasso di Stefano Scodanibbio, un dialogo con Chopin, ma, come nei Playtime n.1 e n.4, l’aspetto intellettuale è velato dietro l’aforisma sorprendente ed emozionante”

(tratto da GIAMPIERO CANE, Fernando Mencherini, Playtime, in “Alias” (recensione), 18 maggio 2002)

“[...] Alle prese con uno o due strumenti la scrittura di Mencherini appare secca ed essenziale senza mai scivolare nell’acre. È una specie di partita a tennis quella che il compositore gioca con gli esecutori e, pur restandosene nascosto dopo aver gettato la pallina in campo, l’impressione è che il clarinetto o il violino di turno diano di volta in volta inizio a un dialogo con un interlocutore. [...]”
(tratto da PIERCARLO POGGIO, Fernando Mencherini, Playtime, in “Blow up” (recensione), nn. 50/51 luglio, agosto 2002)
 
I brani sono interessanti a livello compositivo per la vera e propria arte di Mencherini nel far emergere la "capricciosità" insita di ogni strumento: rapsodica e tesa ciascuna esecuzione si dipana in velocissimi e forti, alternati da brevissimi e staccato, con "spezzati" e "asincronici" tipici della dodecafonia dei lavori del compositore marchigiano. Poco spazio viene concesso per la riflessione; il baricentro di ogni brano è lo strumento stesso, la sua potenzialità armonica sfruttata nella sua capacità di emettere luci di contrasto e nella sua profondità armonica.
(tratto da Francesca Bellino, Fernando Mencherini, Playtime, in "All about jazz",(recensione) 2006)
 
Da anni il pubblico s'è accorto di aver di fronte dei compositori da salotto, che scrivono con il lapis; il pubblico è borghese e quindi è ben educato e non fischia, ma si allontana; il pubblico della musica contemporanea in realtà non esiste. E non esiste perché è stato allontanato dalla musica contemporanea stessa, non per la sua difficoltà, ma per la sua nullità dal punto di vista umano. Fate ascoltare un brano complesso, ma ricco di fermenti vitali e il pubblico si accalorerà, ascoltate un pezzo di Mencherini e sarete portati in regioni sconosciute, sarà un'esperienza di vita. […]
Le regioni della musica di Mencherini sono ricche come i fondali marini, tormentate come cime di montagne rocciose, labirintiche come un delta sconfinato. […] L'ultimo lavoro lasciatoci da Mencherini s'intitola CAP 65100 ed è per organico sinfonico: si tratta di un'alternanza di sezioni freneticamente formicolanti, con suoni veloci, e parti più calme e statiche che vanno a formare fasce armoniche. Il pezzo è molto intenso sia dal punto di vista del linguaggio musicale sia da quello espressivo. Su questa nuova strada a Mencherini si aprivano paesaggi intriganti, da sondare con quell'intuito geniale che aveva, per approdare a risultati che potevano essere ancora straordinari; comunque quello che ci ha lasciato è già molto: una cospicua e interessante produzione che copre un arco di più di vent'anni, ma soprattutto un modo raro di essere musicista, affetto dalla vita. Caro Lupo della Steppa, noi che abbiamo conosciuto da vicino la tua arte continueremo a studiarla, ad ascoltarla, a suonarla. Noi che abbiamo avuto la fortuna di vederla nascere, sappiamo con quale profondità e con che verità umana quest'arte è nata. A noi il severo e alto compito di testimoniare il tuo percorso di uomo e d'artista.
(tratto da RENZO CRESTI, Fernando Mencherini L’energia del gesto, in L’arte innocente, Milano, Rugginenti Editore, 2004)